10
Apr
11

Chelsea Hotel

Chelsea Hotel & The Third Millenium

You are a skyscraper of the saints vagabonds
A mantra with red & black hair
Exploded in an acid trip highway
You are a raincoat for sweet paranoic human beings
with scapulars & sex loving gods
mattress tattooed magic trash gipsy cigarettes
Indian candles chocolate toys revolutionary coffee
Fountains of chess & fresh skins & freedom circus exciting
The psycho subway is always inside us
As the shaken lights are also inside
Prophecies & toilets sliding together
Thieves of silk & ugliness with pearls
Kitchens of dying tamburines & fools with flash eyes
The custumers are searching the very heart of Chelsea Hotel
Through a spaghetti vocabulary
The Unfinished is near us as a great winter
We are infected and happy in Chelsea Hotel
We are eating mystic pain and becoming soft donkies
Envolved in an electric kiss
There is no redemption anymore just a shamed vanished knowledge
Oooooh we languished for a luminescent leprosy
For a cosmic hospital where nothing is forbidden
& insanity is at free charge
& the wound is naked
& seduction is a turmoil
& nothing is nothing
& even the dust could be poetry
Neglection full with junkies
Here at Chelsea Hotel
The morphine portofolio of saints vagabonds
In exchange for a magnified life
And for the sainthood of cinnamon and transfusions
All the famous people with convalescent brains are here in Chelsea Hotel
Because to be here is a concept of life
& a snakeskin inside a Polaroid camera
Because to be here is a black-and-white shaped whirlwind
Across all the bridges & runaways & lepidopterian abductions
& esoteric doll rooms & nonsocial working butterflies.

(Here I stayed eating a mountain of shrims with Andrew The Neworlishire Cat talking near Babylon in the new millennium. But there were no crows or barbarians.)

25
Mar
11

uccelli notturni

uccelli notturni

tu hai barba denti e corpo tu sei il mio uomo
da molto tempo non ho più scritto di te
non ti ho letto più poesie ma ti chiesto di tagliarmi capelli
e di truccarmi per la cantatrice calva
a volte i tuoi occhi grigi crivellano la mia pelle e la braccano
altre volte mi vesti con un body nero sotto abiti invernali da strega
le tue mandibole di lince si muovono lentamente
mentre dormo fasciata da piccoli sogni sottili
quando mi sveglio mi imbocchi con pezzi di carne grasso di animali e con le loro pellicce eleganti
abre los ojos sussurro allora quando sei murato dentro come un monaco morto
i corvi vengono con tutta la loro casta e all’alba si posano sulla nostra finestra
parliamo con loro nella loro lingua poi li scacciamo nelle foreste
sei il mio uomo e da molto tempo non ho più scritto di te
la paura della notte mi riempie l’anima disse la regina della notte
gli uccelli notturni fanno tremare il mio cuore disse la regina della notte
mi sono spogliata ho versato su di me liquore di muschio
e sono diventata più leggera come gli uccelli notturni disse la regina della notte
tu sei il mio uomo.

Traduzione di Giovanni Magliocco

24
Mar
11

frange

frange

ho cercato di non parlare della morte
di non averla nelle viscere
di non tramutarla in una materia oltraggiata
di non sbagliare nei suoi confronti
la mia vita ha avuto frange ordinarie
a volte sono stata felice altre volte malata
mi ha fatto male la pelle
ho amato ho odiato ho amato mi sono arresa
ho ricominciato daccapo
ho pure cantato con la mia voce grossa
ho pure pianto un po’
mi sono profumata con il givenchy
ho odorato di cadavere fresco
sono stata un carosello scintillante
come una lucciola su un piedistallo
poi un giorno ho intravisto una luce spargersi fra le cosce
e fra le dita
sono andata dietro quella luce al di là delle finestre della mia casa
al di là della città della patria dell’onore
al di là della mia identità e del mio nome
e solo trovandomi dall’altra parte
donna e sola
ho compreso che davvero non potrò ritornare mai più.

Traduzione di Giovanni Magliocco

22
Mar
11

danze

danze

di notte danzerò sette ore
per la vita e per la mia morte dalle redini di velluto
poi per l’amore che ha anelli e disavventure
poi per i coltelli smussati delle viscere ripiegate
poi per le paure mandate al diavolo con furbizia
poi per dio poggiato a un muro come un travestito
poi per il demonio che fa piccoli fuochi nella camera di granito
e infine danzerò per il sangue rovesciato
nel trogolo sotterraneo di un oggetto volante non identificato
(grande è il mio potere di distruggere e di amare)

Traduzione di Giovanni Magliocco

21
Mar
11

la scala (36 coltelli)

la scala (36 coltelli)

salgo su una scala di 36 coltelli
ma i piedi non si tagliano
e non scorre sangue
un albero mi tira per i capelli
come un cielo sporcato di piume
nella bocca ho petrolio e argento
nella bocca ho quarzo e incenso
mi fidanzo con un ospite piccolo di statura
salgo su una scala di 36 coltelli
salgo e non so perché sia profonda la discesa
un tunnel di piume d’aquila
piume recise in discesa sulla mia bocca
piume recise nel cervello dal sapore di sesamo
salgo su una scala di 36 coltelli
le mie zampe di cane selvaggio sono nere di buchi
le mie zampe di cane selvaggio hanno denti di petrolio
i demoni cuociono per tre giorni un corpo spaccato
so che è il mio corpo che sale e che scende allampanato
zampe di cane quarzo e incenso
tunnel di piume petrolio e argento
salgo su una scala di 36 coltelli
salgo vivo e poi muoio come benzina incendiata.

traduzione di Giovanni Magliocco

19
Mar
11

La Grotta

La grotta

Un giorno sono entrata io stessa nella grotta del mio corpo
sola e con i capelli rizzati in testa dalla paura.
Dapprima ho attraversato il deserto,
i leoni dormivano poggiati uno contro l’altro come cattedrali,
le loro schiene erano aurore boreali,
cascate di un Niagara di sabbia chiudevano gli occhi e le bocche.
Solo gli uomini del deserto sapevano che la neve è rovente e soffice.
Nella grotta del mio corpo c’era un eremita del deserto,
morto, non ancora putrefatto, con le mani giunte sul petto
e il viso rivolto verso l’oriente.
L’ho toccato e la polvere mi è entrata nelle narici come la traccia lasciata dal fuoco.
I leoni non lo avevano divorato,
né le aquile gli avevano ripulito le ossa,
né le serpi lo avevano avvolto,
nessuno voleva mangiare quel morto che non odorava di nulla.
Stava immobile come un vecchio feto.
Lo guardavo e una voce di donna pazza risuonava dentro di me gridando:
chi ti ha partorito tra i leoni dimenticati di Dio,
chi ti ha udito trivellare nel deserto,
chi ti ha sentito ardere come una torcia rovesciata?
Ruvido monaco di diamante,
sebbene la tua barba sia arrivata ai piedi cresce ancora,
la tua barba sarà il mio lenzuolo per tutto il tempo in cui resterò chiusa qui.
E se non uscirò mai fuori,
la tua barba sarà il mio abito da ragazza da morta e da sposa.

traduzione di Giovanni Magliocco

18
Mar
11

Los cofres de mi cuerpo (5)

Al probar las ostras por primera vez, comprendí al instante qué significaba comerse un sexo femenino. Al principio, surge una sensación de náusea, pulida por aquel encanto de los manjares, el estómago se rebela como el de un marinero que ensucia la carcasa de un barco, mientras que las ratas siguen pululando en la cala, con sus bigotes eléctricos. Sentí asco al catar las ostras, pero conseguí reprimir la repulsión antes de que subiera y se bloqueara entre las plantas del esófago. En mi nariz persistía el olor a pulpo troceado y fétido. No me asqueó tanto la ostra en sí, que medía menos que la punta de la lengua, con su consistencia perversa y escurridiza, como lo hicieron los líquidos salinos que la rodeaban. Tenía la impresión de que aquella licuefacción contenía vaginas estrujadas vivas, tras haber sido aplastadas, como medusas pisoteadas por botas que luego quedaran flotando en su miel pestilente. Fue entonces cuando experimenté una nueva sensación: no solo la de estar comiéndome mi propio sexo como si fuera un melón podrido, sino también la de estar devorando mis globos oculares. La ostra o el sexo era un ojo muerto, lleno de espuma. Su licuación no era solo una metáfora del aceitoso sexo femenino, sino el mismo estado de podredumbre de nuestro mundo que se descomponía en tromba, salpicando con su aliento y sus sudores gangrenosos. Y el sexo de la mujer era el ombligo mismo de aquel cosmos untuoso.

Traducido por Oana Presecan

17
Mar
11

Los cofres de mi cuerpo (4)

De niña, me fastidiaba jugar a mamá y papá. De participar, con todo, en el juego, siempre me negaba a hacer el papel de madre, como si hubiera rechazado la idea misma de maternidad. Ahora, ya mayor de treinta años, me doy cuenta de que nunca he visto en las muñecas a unas hijas mías y por tanto, rehusaba el papel de madre. Hasta en los tiempos de mi niñez, sabía que las muñecas no habían salido de mí, por lo que no había forma de que pudiera fingir tener bebés. No me creía el cuento de la cigüeña, porque nunca había visto una cigüeña de cerca, salvo una disecada en el museo zoológico. No sé por qué, pero sospechaba que la madre-mujer-niña concebía sola a sus hijos. En algún lugar de mi cabeza había florecido hasta la idea de que a mi padre también lo había dado a luz mi madre. Nunca he tenido las muñecas en mi regazo, ni he fingido darles el pecho; al contrario, aquel gesto me horrorizaba, sin saber por qué. Más tarde entendí el sentido de mi comportamiento. Como le faltaba la leche al nacer yo, mi madre no pudo amamantarme. Bebía la leche que me traían del orfanato, de manera que, siendo bebé, no fui capaz de establecer un vínculo con el seno, porque el seno siempre ha faltado de mi vida. Sin haber recibido el pecho, desconociéndolo, tampoco tuve la revelación del mundo en que entraba. El cuerpo de mi madre no era para mí el cosmos, sino un objeto ajeno. Tras nacer, no pude viajar por el cuerpo de mi madre, porque me faltaba el seno que me sirviera de guía. De ahí mi nostalgia enfermiza de los viajes, que vivo antes de emprenderlos, al hacerlos, y luego al agotarlos. De hecho, se trata de otro recuerdo del Úterus que busco.

Traducido por Oana Presecan

16
Mar
11

Los cofres de mi cuerpo (3)

En mi alma hay también otro anhelo, el de ser algo distinto a un hombre o a una mujer: no un híbrido, sino algo diferente. A veces, hasta el andrógino me resultaba imperfecto. Sin embargo, cierta especie de varones me atraía como nunca: los efebos. Ignoraba de dónde procedía aquel gozo de pensar en ellos, de qué regiones de la carne y la mente. Los efebos me sosegaban cada vez que me figuraba sus cabezas velludas y sus hombros arqueados con blandura, como si fueran pechos. No obstante, parece me estaba destinado ser del campo femenino, a juzgar por mi preferencia exclusiva por la languidez gatuna y soñolienta de los efebos. Naturalmente, nunca supe qué podía ser ese algo distinto, ni hombre, ni mujer, al que aspiraba. Quizás, en algún ricón de mi cabeza, permanece al acecho un cuerpo con pechos, hombros y testa de efebo.

Traducido por Oana Presecan

15
Mar
11

Los cofres de mi cuerpo (2)

A los diez años, quizás un poco más tarde, empecé a luchar por mí. La saña de aquel entonces, que no entendía racionalmente, sino con los sentidos, aún sigue en mi tórax, allí donde se juntan las fuerzas mentales que necesito para sobrevivir. Es el tórax el que me sirve de equipaje y no mi cerebro, sea cual sea el lugar que alcance con mi mente, de obra o de palabra. Mi cerebro es más bien un lugar devastado. En la adolescencia experimenté por primera vez la sensación de que la vida solo es un combate psíquico. Según mi horóscopo, era leo y eso se notaba en mi forma de ser. Mi voz era ronca y grave, digna de una cantante de cabaré o de una fumadora empedernida. Como leona, era una rapaz cazadora de mentes, porque el cuerpo me estaba prohibido entonces. Era una ogresa, precisamente por haber luchado sola para librarme de la tormenta psíquica de mi madre. Desde que nací, dejé de pertenecerle. Había sido suya tan solo mientras estuve en su vientre blando y acogedor. En mi adolescencia, fue para mí una madre viril y yo corría el riesgo de acabar siéndolo a mi vez, si no lo impedía la batalla que libré por mi libertad. Yo era capaz, como devoradora psíquica, de aniquilar febrilmente a los de mi alrededor. Creo que estaba rabiosa y que aquella rabia interior la provocaban las proezas confusas de mi mente, de las que no tenía todavía ni idea.

Traducido por Oana Presecan




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